Il caso Bellomo (il Consigliere di Stato, oggi destituito, a cui è stata attribuita la creazione di un articolato sistema di potere basato su ricatti sessuali e psicologici) è l’ultimo di una lunga serie di scandali a base di corruzione e privilegi, che hanno messo al centro la magistratura amministrativa.
La sensazione di schifo che mi ha suscitato il caso, mi stava inducendo a scrivere un post basato su dati oggettivi, passando in rassegna tutti i molti, troppi recenti casi di corruzione, disfunzioni, privilegi e contraddizioni della Giustizia amministrativa balzati all’onore delle cronache in questi ultimi anni.
Invece ho deciso di fare un’altra cosa: scrivere qui quello che noi avvocati amministrativisti ci diciamo tra noi, nei corridoi dei TAR e del Consiglio di Stato. Cose che ci guardiamo bene dal denunziare nelle sedi ufficiali perché se no, quando poi andiamo discutere un ricorso, siamo morti.
Ora, se volete delle considerazioni basate su dati oggettivi, potete andare a leggere i molti articoli di Alessio Liberati, ex magistrato amministrativo, che attualmente scrive per Il Fatto Quotidiano.
Lì trovate analizzati uno per uno i casi, le vicende, i numeri, le casistiche dei privilegi, con cognizione di causa e spirito critico.
Personalmente non condivido tutto quello che scrive Liberati, ma trovo che il suo sia un punto di vista serio, che merita di essere preso nella dovuta considerazione.
Quello che vado a scrivere io, invece, è il frutto di un’opinione. Sicuramente soggettiva e personale. Si potrà dire, persino arbitraria: me ne assumo la paternità e la responsabilità.
Il succo è che la Giustizia Amministrativa è sempre meno giustizia e che, più vado avanti negli anni, più leggo sentenze che mi fanno cascare le braccia.
La qualità delle decisioni è sempre peggiore. La preparazione, la capacità di rendere giustizia di molti giudici e persino la capacità di scrivere in un italiano accettabile è in caduta verticale.
L’atteggiamento di molti giudici verso gli avvocati è irrispettoso e insopportabile.
La quantità di assurdità che si leggono nei provvedimenti è in costante aumento.
Rispetto a queste affermazioni chiunque si può alzare e dire, anche sdegnato: “Non è vero! Mi dissocio! Non mi identifico con queste affermazioni!”.
Se lo fate, vi capisco. Ognuno ha le sue opinioni e comunque, tutti abbiamo famiglia, no?
Però, ragazzi la verità è che quando stiamo nella sala avvocati o nell’anticamera di un’udienza, le cose che si dicono sono ben altre. Tutti ci lamentiamo, lontani da orecchie indiscrete. Eccome.
Vedete, quello della Giustizia amministrativa è un mondo circoscritto: poche centinaia di magistrati tra TAR e Consiglio di Stato (pensate che in Germania i magistrati amministrativi sono dieci volte più numerosi) e una ristretta elite di professionisti veramente specializzati che conoscono i mille cavilli di una materia complessa, in continua evoluzione e, agli occhi di chi non usa occuparsene, piuttosto noiosa.
Io personalmente, sono immerso in questo piccolo mondo da circa ventisette anni.
Beh, come si dice: guardiamoci nelle palle degli occhi.
Tutti noi sappiamo (e ce lo diciamo apertamente in quei corridoi) che la Giustizia amministrativa fino a dieci anni fa era un’altra cosa. Era un mondo che riusciva a produrre giustizia effettiva anche quando mancavano le leggi per arrivare a questo risultato. Un mondo in cui spesso le sentenze addirittura tiravano la volata al legislatore, fin dal primo grado di giudizio. Non c’era quasi bisogno di arrivare all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (l’organismo in sessione completa del Consiglio di Stato che si attiva per comporre i contrasti interpretativi nella giurisprudenza).
Chi fa da qualche anno questo mestiere, ricorda ancora la forza propulsiva delle sentenze scritte da collegi e magistrati di valore, molti dei quali non più in servizio. Io ne ricordo alcuni: Francesco Mariuzzo o Aldo Ravalli, giusto per fare qualche nome.
Quelle che leggiamo oggi sono sempre più spesso sentenze prive di coraggio, a volte sgrammaticate, altre volte sentenze in cui si cerca un pretesto qualunque per non prendere posizione su una norma equivoca, sbagliata, che meriterebbe di essere spedita alla Corte Costituzionale, o alla Corte di Giustizia, o la cui corretta interpretazione comporta un rilevante impatto finanziario.
Ecco: spesso si decide con una mano sul cuore del portafoglio della pubblica Amministrazione, più che su quello della Costituzione.
Devo dire che tutto questo, negli ultimi tempi mi ha talmente demotivato che personalmente mi occupo sempre meno volentieri di questioni di diritto amministrativo e se posso, preferisco dedicarmi ad altro.
Ora, se a questo aggiungete l’ingrediente dei molti privilegi, non solo economici, riconosciuti ai magistrati amministrativi, comprendete quanto facile sia stato per alcuni politici salire sul pulpito e sostenere energicamente la necessità di rottamare la Giustizia amministrativa.
Ricordate? Prodi affermò pubblicamente che la Giustizia amministrativa andrebbe abolita (badate bene: sostenne che non dovrebbe esserci un giudice che va a sindacare sull’esercizio delle funzioni amministrative); il governo Renzi pose in essere una serie di provvedimenti, come la soppressione delle sedi staccate e la riduzione delle ferie dei magistrati amministrativi; quando il TAR emise la famigerata sentenza sui direttori dei musei nel 2017, molto sgradita all’Amministrazione in carica, si tornò a tuonare per l’abolizione della Giustizia amministrativa.
Beh, io non sono d’accordo.
Sono convinto che l’apparato normativo e organizzativo della Giustizia amministrativa vada migliorato, ma sono convinto che non ci possiamo permettere il lusso di rinunziare ad uno strumento istituzionale che esercita il controllo più diretto sulla legalità degli atti del mondo politico e del potere pubblico in generale, e lo fa molto prima di quanto non lo faccia la Giustizia penale, ma soprattutto, lo fa molto più spesso.
È chiaro che per chi esercita il potere pubblico questa è una presenza fastidiosa.
Sindaci e governatori sono spesso irritati da decisioni dei TAR o del Consiglio di Stato che fermano grossi appalti e atti di pianificazione urbanistica, ma diciamocela tutta: con la classe politica ed amministrativa del livello infimo che ci ritroviamo, possiamo permetterci il lusso di smantellare questo sistema di controllo?
Io dico di no.
Che il sistema vada migliorato è fuori discussione. Anzi, a mio modo di vedere, va rivisto dal profondo, anche perché sono convinto che il problema non sia solo quello della necessità di riscrivere norme e disposizioni. Esiste sicuramente alla radice un problema culturale di fondo.
Forse una strada può essere quella di prendere spunto dall’esperienza di altri paesi che, al pari dell’Italia, hanno una consolidata tradizione di diritto amministrativo processuale e sostanziale: cioè la Germania e la Francia.
Potrebbe essere un punto di inizio, ma occorre anche una massiccia dose di onestà mentale e di competenza da parte del legislatore e la consapevolezza che riforme di questo genere costano parecchio, anche in termini indiretti.
Resta il dubbio che le imminenti elezioni politiche riescano davvero a darci una leva di legislatori sufficientemente consapevoli.