Oggi, salvo imprevisti, è programmata la messa in onda su La7, nell’ambito del programma Tagadà, alle 14.20, di una mia intervista, come referente MGA per Milano. Il tema è quello delle cause massive per responsabilità medica e l’atteggiamento aggressivo degli avvocati.
La trasmissione vuole in qualche modo censurare l’operato di quelle organizzazioni di professionisti che, un po’ all’americana, cercano di istigare gli utenti a promuovere cause nei confronti di medici e strutture ospedaliere per casi di presunta malasanità, offrendo di coprire i costi della causa e di farsi pagare a risultato ottenuto. Il famoso o famigerato patto di quota lite.
Ora, non so bene come l’intervista verrà montata, ma alla giornalista ho cercato di far capire che il nodo del problema non sta tanto nella disinvoltura di alcuni colleghi, ma è figlia di una combinazione di ingredienti esplosivi: prendi decine di migliaia di avvocati in una condizione di diffuso bisogno nella categoria, prendi un quadro legislativo generale complesso e così poco chiaro da diventare aleatorio e da ingenerare nei cittadini l’aspettativa di ottenere ragione anche quando del tutto palesemente non dovrebbero, ci aggiungi l’ulteriore ingrediente costituito da un insieme di regole specifiche per lo svolgimento delle professioni intellettuali infarcite di inutili formalità, dalla privacy all’antiriciclaggio, non necessariamente ingiuste ma comunque sproporzionate, in termini di adempimenti burocratici, all’entità dello svolgimento della professione, e il piatto è servito.
Sono pronte migliaia di cause non solo contro medici, ma anche contro commercialisti, ingegneri e ovviamente anche contro avvocati.
Tutto questo non mi serve per affermare che chi svolge una professione intellettuale vada deresponsabilizzato, anzi.
Ma stat modus in rebus. Esiste un modo e una misura.
Se in Italia esistessero dei meccanismi in grado di tutelare meglio i professionisti in ordine all’obiettivo di conseguire un compenso giusto e proporzionato per il lavoro prestato non vi sarebbero avvocati pronti a convincere i propri clienti ad imbarcarsi in cause disperate (e ad imbarcarvisi loro stessi) con l’obiettivo di fare cassa a fine mese.
E non penso alla reintroduzione di minimi tariffari. Penso a fondi di garanzia, a convenzioni con assicurazione sui crediti professionali.
Strumenti difficili da pensare in Italia quando l’enorme incertezza del quadro normativo e la schizofrenia del sistema giudiziario allontanano e scoraggiano qualunque operatore, sia esso bancario, finanziario o assicurativo.
Pochi sanno, ad esempio, cosa siano gli strumenti di finanza legale, o di litigation funding.
Si tratta di strumenti in cui un soggetto parafinanziario o assicurativo, esamina la tua causa e se hai buone speranze di ottenere ragione, ti viene finanziata. Tu non anticipi un centesimo. Se vinci riconosci una percentuale al tuo finanziatore, se perdi, il finanziatore si sobbarca le conseguenze e il rischio economico.
Ovviamente molti sono contrari a questo sistema: la scusa è che queste entità si approfittano della condizione del cittadino che non ha le risorse per avviare una causa. Però, a rifletterci, è vero esattamente il contrario: il cittadino che non ha risorse per far valere il suo diritto in giudizio, perché non si può permettere un buon avvocato, finirà per rinunziare, per accettare un pessimo accordo o per soccombere, non avendo potuto scegliere un professionista adeguato.
Pensate per un momento: un lavoratore subisce un sinistro sul lavoro invalidante. Ingiustamente gli viene negato il diritto al risarcimento. A questo punto dovrebbe fare causa contro la compagnia assicurativa o la propria azienda. Parliamo di soggetti che hanno i mezzi per pagare eserciti di avvocati e l’interesse a tirare in lungo la faccenda, perché il tempo è dalla loro parte. Il lavoratore, invece, ha il fiato corto. E se invalido non può neppure lavorare per munirsi delle risorse necessarie per tutelare i propri diritti. Se però dovesse intervenire un soggetto terzo, che esamina il caso, valuta che il lavoratore vanta una pretesa ragionevolmente fondata, e quindi decide di investire su quel contenzioso, quel lavoratore potrà sperare di conseguire un’equa riparazione del torto subito. Una speranza che resterebbe vana senza l’intervento di quel soggetto terzo.
Inoltre questo tipo di meccanismo ha un’altra ricaduta positiva: se hai torto marcio nessuno finanzierà la tua causa.
Bene, tornando all’intervista, quindi ho cercato di far passare questo tipo di visione, anche se capisco che per chi fa cronaca, è più interessante sbattere un mostro in prima pagina, che si tratti di un medico (presunto) macellaio o che si tratti di un avvocato (presunto) squalo senza scrupoli.
Spero che il montaggio finale delle cose che ho detto e che rispecchi lo spirito delle dichiarazioni formulate e che l’intervista vada effettivamente in onda, così come ieri sera mi hanno confermato e garantito.
Comunque ecco il link per chi volesse vedere la diretta in streaming:
Mentre per chi volesse rivedere la trasmissione dopo la messa in onda: